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Sole e lampade prima delle vacanze- Fondazione Veronesi

È consigliabile fare qualche lampada prima delle vacanze estive?

Risponde Enzo Berardesca, direttore del dipartimento di dermatologia infiammatoria e immunoinfettivologica dell’Istituto Dermatologico San Gallicano di Roma

  • Pubblicato il 02/07/15

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Mi hanno detto che fare una o poche lampade per preparare la pelle all’esposizione al sole non fa male e non aumenta le probabilità di patologie cutanee serie. È vero?

Elisabetta F, Forlì

Risponde Enzo Berardesca (nella foto), direttore del dipartimento di dermatologia infiammatoria e immunoinfettivologica, Istituto Dermatologico San Gallicano di Roma

Il concetto “poco fa bene” e “tanto fa male” non è compatibile con le lampade o le docce solari. Anche una sola lampada durante l’anno espone la pelle a un rischio, seppure minimo. Infatti indurre l’abbronzatura significa sottoporre la pelle a una aggressione alla quale risponde, come difesa, con un aumento della pigmentazione. Ovvero il brunito tipico dell’abbronzatura, appunto. Se è vero che una o poche lampade, da sole, non possono essere ritenute responsabili dell’eventuale sviluppo di un tumore della pelle, dall’altro sarebbe comunque sempre meglio evitarle. Tant’è che in alcuni paesi, come gli Stati Uniti o l’Australia dove la popolazione residente è già naturalmente esposta a una irradiazione solare elevata ed è di fototipo ‘chiaro’, sono state vietate. Ma c’è di più.

Oggi la comunità scientifica si sta anche interrogando non soltanto sui rischi indotti dai fatidici raggi ultravioletti (gliUVA e UVB quelli incriminati soprattutto per lo sviluppo dei tumori), ma anche sugli effetti a lungo termine della luce visibile che, apparentemente, non crea nessun eritema o danno percettibile. Gli effetti nocivi che le lampade possono causare alla pelle variano da individuo a individuo, dal tipo di lampada cui ci si espone, e dal differente fototipo. Pertanto è impossibile dare indicazioni sulla soglia minima o massima entro le quali le lampade possono nuocere alla salute con rischi più o meno contenuti.

Come regola generale si può dire che l’esposizione “preventiva” al sole artificiale in presenza di una pelle molto chiara (fototipo 1), capelli rossi e occhi azzurri, non è consigliata. Anzi: potrebbe sortire effetti contrari, come l’arrossamento cutaneo, senza ottenere una base che prepari al sole estivo. Mentre possono concedersi ogni tanto qualche lampada coloro che sono più scuri di carnagione (fototipo 2-3) e hanno occhi e capelli scuri: caratteristiche queste che rendono naturalmente più protetti, facilitano l’abbronzatura, diminuiscono il rischio di irritazioni e arrossamenti e le probabilità di sviluppare tumori della cute. Dunque va sfatata la diceria che prepararsi al sole con una lampada evita poi eritemi e scottature.

L’unico modo efficace per non correre questo rischio è proteggersi con creme solari con fattore protettivo 50 da applicare sulla pelle ripetutamente e ogni due ore, in modo che la crema resti sempre attiva, integrando eventualmente l’alimentazione (vanno bene tutti i cibi arancioni contenenti carotene) con degli integratori alimentari a base di flavonoidi e ricchi di antiossidanti che favoriscono protezione anche in vista dell’esposizione al sole. Anche in caso di lampade solari non vanno trascurati alcuni accorgimenti. Primo fra tutti indossare sempre gli occhialini, perché la cornea può essere anch’essa danneggiata dai raggi, e idratare abbondantemente e accuratamente la pelle con una crema grassa a fine seduta. È invece inutile utilizzare un abbronzante: meglio fare attenzione a non scottarsi, ridurre il numero di sedute e sottoporsi ai raggi (ma solo in questo caso!) senza protezione.

Una considerazione a parte meritano invece quelle malattie della pelle – come la dermatite seborroica, la psoriasi, alcune forme di eczema – che possono beneficiare dai raggi ultravioletti e per le quali l’esposizione, monitorata dal medico, a particolari lampade con lunghezze d’onda molto ristrette che impongono alla pelle solo l’effetto terapeutico e non quello ustionate, può essere spesso risolutiva. In questi casi i vantaggi derivanti dalla lampada superano gli effetti collaterali: ovvero può valere la pena considerare,  a seguito di un beneficio immediato e guarigione dalla malattia, la possibilità di andare eventualmente incontro a lungo termine a pigmentazione o a una maggiore predisposizione a sviluppare dei tumori, i quali possono non essere necessariamente benigni, ma facilmente trattabili se presi in tempo.

Corriere della sera- Psoriasi e sport

psoriasi_testata
nuoto-500x375La psoriasi è una patologia cutanea autoimmune che insorge su una base genetica in associazione a diversi fattori scatenanti molti dei quali non ancora perfettamente chiariti. Uno di questi sicuramente importanti è il traumatismo, ovvero l’insorgenza delle manifestazioni psoriasiche su cute traumatizzata o lesionata. Questo fenomeno, detto fenomeno di Koebner, spiega l’insorgenza di lesioni psoriasiche in sedi sottoposte a micro-traumatismo continuo quali le ginocchia e i gomiti.
Allo stesso modo si spiega l’insorgenza della psoriasi su cute affetta da lesioni precedenti quali malattie dermatologiche (dermatiti, eczemi) oppure ferite e traumi.
L’attività sportiva non può che essere di grande beneficio per il soggetto affetto da psoriasi, soprattutto per prevenire o controllare le patologie associate ad essa come ipertensione, diabete, dislipidemie. Inoltre, il controllo del peso corporeo mediante l’esercizio fisico regolare permette di diminuire il dosaggio dei farmaci in caso di terapia sistemica.
Bisogna però tenere presenti alcuni accorgimenti nella scelta dello sport preferito. E’ infatti meglio evitare gli sport troppo «fisici» laddove ci sia la possibilità di subire traumi e graffi sulla pelle che potrebbero consentire la comparsa delle lesioni nelle sedi interessate. Pertanto il pugilato, la lotta, le arti marziali e simili sarebbero da scegliere con assoluta cautela, mentre sport outodoor come il tennis, la corsa, la bicicletta potrebbero essere indicati in quanto permetterebbero di associare l’attività fisica con anche una moderata fotoesposizione (cioè l’esposizione ai raggi solari) che generalmente può essere utile al soggetto psoriasico.
Un discorso a parte si può poi fare per gli sport acquatici, il nuoto in primis, utile in estate all’aperto sempre per gli stessi motivi, ma da effettuare con maggiore cautela nei mesi invernali, soprattutto per il rischio di sviluppare irritazioni da cloro della piscina o patologie infettive o infiammatorie delle pieghe quali intertrigini e micosi.
In conclusione comunque gli aspetti positivi di una regolare attività fisica surclassano di gran lunga quelli negativi. Basta un poco di attenzione, non trascurare le iniziali irritazioni della pelle e cercare di usare la massima cura sia dal punto di vista igienico che cosmetico.
Al di là dei prodotti specifici per la patologia, è importante  utilizzare lenitivi ed emollienti per tenere la pelle protetta e morbida, protezioni solari per non scottarsi, evitare traumatismi inutili. E non appena compaiono delle dermatiti essere consapevoli che queste in un soggetto predisposto possono trasformarsi in psoriasi.

Artropatia psoriasica – Blog Corriere della Sera

Psoriasi: le risposte ai vostri dubbi

L’associazione tra psoriasi e artropatia era stata notata già ai primi del ‘900, ma solo da circa 30 anni è stato stabilito che l’artropatia psoriasica è una forma a sé stante differente dall’artrite reumatoide o dalle altre malattie autoimmuni e associata alla malattia psoriasica. L’incidenza dell’artropatia è estremamente varia a seconda degli studi effettuati, ma è ragionevole considerare che oggi possa affliggere circa il 30 per cento dei pazienti affetti da psoriasi.

Studi clinici basati su esami strumentali effettuati in pazienti senza  sintomatologia dolorosa evidenziano addirittura la presenza dell’artropatia nella metà soggetti con psoriasi sulla cute. Quindi verosimilmente la forma è molto più diffusa di quanto si possa pensare, in quanto non tutti i pazienti potenzialmente interessati ne sono consapevoli.
I sintomi più frequenti sono rappresentati prevalentemente dal gonfiore e dal dolore presente a livello delle articolazioni. In particolare, nelle forme iniziali è presente un’entesite (ovvero infiammazione delle entesi, che sono le inserzioni tendinee nell’osso) che successivamente può degenerare, arrivando a causare un versamento infiammatorio nell’articolazione con conseguenti alterazioni a carico dei segmenti ossei interessati.
L’artropatia psoriasica insorge quasi sempre dopo la comparsa della forma cutanea della psoriasi (anche dopo molti  anni). Di fatto, il paziente se ne accorge soprattutto per il dolore e l’edema delle articolazioni interessate (deformazione tipica è il «dito a salsicciotto») che poi nei mesi o anni successivi, in assenza di terapia adeguata, presenteranno sempre maggiore difficoltà a muoversi e sempre maggiore deformazione e impotenza funzionale.
Le articolazioni prevalentemente colpite sono quelle delle mani, dei piedi, i talloni e più raramente quelle della colonna vertebrale. Nel lungo termine l’artropatia psoriasica è una patologia debilitante e porta a un importante decadimento della qualità della vita: per questo motivo è estremamente importante che il paziente che sa di avere la psoriasi non sottovaluti nessun sintomo proveniente dalle articolazioni e si rivolga immediatamente al medico, in quanto  l’artropatia si può curare e dev’essere affrontata il più precocemente possibile  al fine di evitare che l’infiammazione induca dei danni permanenti e irreversibili alle articolazioni  interessate.
La terapia si basa sul cortisone assunto per via sistemica nelle fasi iniziali insieme ad altri farmaci «tradizionali» antiinfiammatori (tipo DMARDs) o metothrexate. Qualora questi non avessero successo a controllare non solo il dolore ma anche la progressione della malattia, la risposta più appropriata è data dai farmaci biologici, che sono attivi sia sulla componente cutanea e, in alcuni  casi ancor di più, sulla componente articolare.
In questo caso con una sola terapia (che non va mai interrotta) il paziente controlla efficacemente i sintomi sia sulla pelle che sulle articolazioni. I possibili effetti collaterali di  queste terapie sono, come sempre per i biologici, legati all’immunosopressione e quindi c’è un maggiore rischio di contrarre infezioni, che possono andare dalle banali influenze respiratorie alle infezioni più importanti, come la tubercolosi.
Tuttavia, l’esperienza ormai decennale nel mondo nell’utilizzo di questi prodotti ha dimostrato che un adeguato monitoraggio di questi  pazienti permette di prevenire e controllare questi eventi. Tanto che oggi i biologici sono considerati uno dei trattamenti più efficaci e allo stesso tempo sicuri anche rispetto ai farmaci «tradizionali». Del resto, al fine di  mantenere invariata la qualità della vita del paziente artropatico, vanno assunti il più precocemente possibile per impedire l’irreversibile danno articolare.